Vincere la battaglia contro l’antibiotico-resistenza. Intervista a Mariagrazia Di Luca, cofondatrice di Fagoterapia LAB
Le interviste di #vitadastartupper ci portano oggi a conoscere una startup che ha l’ambizione di aiutare i pazienti con infezioni gravi resistenti agli antibiotici a vincere la loro battaglia contro l’antibiotico-resistenza, sviluppando farmaci antibatterici personalizzati basati su virus buoni: Fagoterapia LAB.
Gli esperti di Fagoterapia LAB sono i primi – e al momento gli unici – in Italia a sviluppare questo tipo di terapia, basata sull’impiego di virus che uccidono i batteri come nostri alleati biologici per eradicare infezioni resistenti agli antibiotici.
Ne abbiamo parlato con Mariagrazia Di Luca, ricercatrice in microbiologia presso l’Università di Pisa da sempre interessata al problema dell’antibiotico-resistenza e cofounder di Fagoterapia LAB dove ricopre anche il ruolo di responsabile dell’area ricerca e sviluppo.
Mariagrazia, com’è nata Fagoterapia LAB?
Il nostro progetto è nato nel 2018 a Berlino mentre lavoravo all’Ospedale Charité. Lì sono entrata in contatto con questo tipo di terapia e ho incontrato Novella Cesta, altro cofounder di Fagoterapia LAB e medico infettivologo. Discutendo insieme abbiamo condiviso il sogno di portare la fagoterapia in Italia dove non era stata ancora neanche sperimentata. Circa un anno dopo, rientrate in Italia, siamo state invitate dal Ministero della Salute per parlare delle potenzialità della fagoterapia. Alla fine di questo incontro ci è stato chiesto, in modo interlocutorio, se eravamo in grado di sviluppare questo tipo di terapia in Italia. E lì che la scintilla che era già dentro di noi ha preso fuoco: abbiamo iniziato a pensare a questo progetto come un progetto imprenditoriale per sviluppare una biotech in grado di produrre e commercializzare una terapia fagica personalizzata. Dopo l’incontro col Ministero abbiamo coinvolto nel nostro progetto gli altri due founder di Fagoterapia LAB: Giuseppe Maccari, virologo bioinformatico che ha sviluppato un algoritmo predittivo, e Stefano Cheli, che ha un background economico-finanziario ed è il nostro attuale CEO. Durante il primo lockdown abbiamo deciso di intraprendere questa avventura e nel 2021 costituire formalmente Fagoterapia LAB.
In che fase siete dello sviluppo della vostra startup?
Siamo in fase di early stage. Abbiamo sviluppato due asset tecnologici che sono alla base della produzione di questi farmaci: da un lato una collezione fisica – detta biobanca – di virus buoni che abbiamo isolato dall’ambiente e caratterizzato, cioè verificato che fossero sicuri ed in grado di uccidere effettivamente i batteri.
Dall’altro abbiamo sviluppato un algoritmo di intelligenza artificiale, un sistema bioinformatico che ci permette di predire qual è il miglior virus batteriofago in grado di uccidere il batterio in questione. Questo sistema consente di velocizzare molto la scelta del virus, che rappresenta il principio attivo del farmaco personalizzato che andremo a produrre. Grazie a questi due asset Fagoterapia LAB sta sviluppando una piattaforma tecnologica, che partendo dal batterio del paziente permette di creare un farmaco personalizzato, che potenzialmente si può applicare ad ogni tipo di infezione causata da ogni tipo di batterio. Siamo quindi in fase di proof of concept. Il prossimo step sarà quello di realizzare il processo produttivo di questi farmaci personalizzati per poi poter passare ai trial clinici.
Intendiamo sviluppare e registrare un processo a cinque fasi: prelievo del batterio dal paziente, estrazione del DNA del batterio, sequenziamento del DNA, individuazione del virus che uccide il batterio mediante l’uso dell’algoritmo predittivo, produzione del farmaco personalizzato. Per completare questo processo occorrono tra i 7 e i 10 giorni, un tempo ancora ideale anche per le infezioni più gravi, come le sepsi, che in breve tempo possono portare alla morte.
Qual è attualmente lo stato dell’arte della fagoterapia nel mondo? Ci sono paesi che la adottano?
La fagoterapia nasce ai primi del Novecento, addirittura prima della terapia antibiotica, ma in occidente è stata lasciata da parte dopo pochi decenni per via della diffusione della terapia antibiotica che si è dimostrata efficace fino alla comparsa delle prime resistenze negli anni ‘80. La fagoterapia si è sviluppata invece nei paesi dell’ex Unione Sovietica; in Georgia, in particolare, c’è un importante centro di fagoterapia che è meta di turismo medico. I farmaci prodotti in Georgia non rispecchiano però gli standard richiesti da EMA e FDA. In Belgio, in Francia e negli Stati Uniti questo tipo di terapia viene usata in via sperimentale ad uso compassionevole: un paziente che ha un’infezione che non riesce ad essere trattata efficacemente con antibiotici o altre terapie e per la quale rischia la morte o un’invalidità può essere trattato con la fagoterapia.
In Italia io e Novella abbiamo seguito il trattamento della prima paziente italiana con infezione grave di protesi d’anca che aveva acquistato la fagoterapia all’estero.
Avete quindi dei competitor?
Abbiamo dei competitor europei, statunitensi e israeliani, alcuni dei quali, a differenza di noi, stanno sviluppando prodotti standardizzati che sono in fase di trial clinici. Noi abbiamo fatto una scelta diversa. Come abbiamo imparato con il Covid, anche nel caso delle infezioni batteriche spesso si sviluppano delle varianti che non sono coperte dal prodotto standardizzato. È per questo che noi abbiamo scelto un altro approccio, quello personalizzato, che consiste nel prelevare il batterio del paziente e sviluppare un farmaco ad hoc in un tempo ragionevole per poi somministrarlo al paziente. Al momento abbiamo un solo competitor, negli USA, che adotta lo stesso approccio.
La sfida dell’approccio personalizzato sta nell’approvazione da parte degli enti regolatori che per loro natura tendono a privilegiare procedure standardizzate. Tuttavia la pandemia ha sensibilizzato gli enti regolatori e le autorità preposte alla verifica dei farmaci rispetto alla possibilità di aprirsi verso un approccio personalizzato ed esistono già esempi di procedure e protocolli che portano all’approvazione e alla commercializzazione sul mercato di terapie di medicina personalizzata per la cura di tumori. Siamo quindi dei pionieri, ma ci muoviamo lungo percorsi in parte già sperimentati.
Quali sono state la principale difficoltà e la principale opportunità che avete incontrato dalla costituzione di Fagoterapia LAB?
La principale difficoltà riguarda il fundraising. Il nostro è un business capital intensive in cui il ritorno sull’investimento richiede qualche anno e il percorso per arrivare sul mercato è particolarmente complesso. Cerchiamo investitori che credano nel nostro progetto e siano disposti ad accogliere il rischio di un percorso sfidante, ma promettente che permetterebbe di essere i first mover a livello nazionale e europeo e di cambiare radicalmente la vita dei pazienti con infezioni antibiotico resistenti.
Le principali opportunità sono state quelle di incontrare tantissime persone, confrontarsi con figure e competenze diverse, imparare tanto e vincere diversi programmi di incubazione e accelerazione che ci stanno supportando nello sviluppo della nostra startup.
Inoltre, siamo stati già contattati da diversi ospedali con cui abbiamo siglato accordi di collaborazione scientifica: l’ospedale Gaslini di Genova, l’ospedale UCL di Londra e l’ospedale militare di Berlino. Ciò ci dà l’opportunità di crescere rapidamente con la collaborazione di ospedali importanti.
Nel breve termine quale sfida vedi di fronte a voi?
La sfida più importante è riuscire a raccogliere le grandi somme di capitali necessarie ad un veloce sviluppo della nostra start up.
Per questo motivo, oltre al fundraising di capitali privati che stiamo portando avanti, stiamo in parallelo partecipando anche a bandi pubblici a livello internazionale che ci permetterebbero, insieme ai capitali privati raccolti, di ridurre il rischio aziendale ed ulteriormente accelerare lo sviluppo di Fagoterapia LAB.