Il cammino per arrivare sul mercato. Intervista a INTA Systems

Portare un prodotto sul mercato biomedicale è un percorso complesso fatto di prototipi, test di laboratorio, processi di ingegnerizzazione, prove cliniche, processi di certificazione. La startup di cui parliamo oggi sta percorrendo queste strade per portare sul mercato un’innovazione, basata sulla tecnologia delle onde acustiche di superficie, che cambierà profondamente il modo in cui diagnostichiamo i traumi cerebrali e, più in generale, il modo in cui rileviamo sostanze biologiche nei liquidi.
Si tratta di INTA Systems, spin off deep-tech del CNR-NANO e della Scuola Normale Superiore di Pisa. Ne parliamo con Matteo Agostini, CEO e cofondatore di INTA, e con Alessandro Scatà, direttore tecnico di INTA.

Matteo, com’è nata INTA e cosa sta portando sul mercato?
Matteo: INTA nasce per valorizzare un brevetto realizzato durante la mia attività di ricerca nella Scuola Normale insieme agli altri due fondatori della startup: Marco Cecchini, ricercatore del CNR, e Marco Calderisi, imprenditore nel settore della Data Science.
Il brevetto riguarda una tecnologia sensoristica in grado di rilevare sostanze biologiche nei liquidi in modo decisamente innovativo. I punti di forza sono l’elevata portabilità del prodotto che ne consente l’utilizzo sul campo, il cosiddetto multiplexing, cioè la possibilità di misurare più sostanze biologiche contemporaneamente sullo stesso campione con un unico dispositivo, nel nostro caso fino a sei sostanze biologiche – e ciò rappresenta un’innovazione che al momento non c’è sul mercato – e infine un costo basso se paragonato a strumentazione di laboratorio. Tutto questo è corredato da un forte supporto dell’intelligenza artificiale, più precisamente di algoritmi di statistica multivariata: grazie al fatto che possiamo misurare sei sostanze contemporaneamente poiché usiamo i dati che provengono da sei sensori, possiamo sfruttare algoritmi di ricerca di pattern, invece di quantificare la singola sostanza e dare una risposta solo su quella.

Facci un esempio di come può essere applicata questa tecnologia in campo medicale.
Matteo: Il nostro focus sono i traumi cerebrali. Attualmente vengono diagnosticati tramite TAC, con tutte le problematiche relative al suo utilizzo, quali costi, tempi e esposizione del paziente a radiazioni. Noi vogliamo arrivare a identificare le persone che sono sicuramente sane tramite le analisi del sangue, in modo da evitargli di fare la TAC. Come lo facciamo? Misurando la presenza di alcuni marcatori del danno cerebrale nel sangue. La cosa è molto complessa, anche da un punto di vista biologico, perché non basta un singolo marcatore per poter essere sufficientemente sicuri della diagnosi. Ecco quindi che intervengono gli algoritmi di statistica multivariata. Nel nostro caso, misuriamo sei marcatori, li studiamo mediante un modello che abbiamo sviluppato e il modello stesso ci dice se il paziente è sano e con quale percentuale di probabilità. La risposta quindi non proviene da una singola quantificazione, ma da diverse quantificazioni e dai rapporti tra queste.

In cosa consiste il vostro prodotto e in che fase vi trovate del suo sviluppo?
Alessandro: Siamo a cavallo fra la fase prototipale e la fase di prodotto. Nell’ultimo periodo abbiamo realizzato i primi design 3D e presto avremo già un dispositivo works-like da banco, molto simile a quello che intendiamo rilasciare nei primi mesi del 2025.
Il dispositivo si compone di una cartuccia usa e getta e di un lettore. La cartuccia viene inserita nel lettore per iniziare una fase di misurazione che dura circa 40-45 minuti.
Lo sviluppo del dispositivo coinvolge sei società: c’è chi fa la cartuccia, chi si occupa della parte di elettronica e di radiofrequenza dei dispositivi contenuti all’interno del lettore, chi della realizzazione della stampa dei nostri chip che sono il cuore della tecnologia.
Il core delle analisi avviene dentro i chip che contengono i nostri sensori basati sulla tecnologia delle onde acustiche di superficie.

Dal 2019 a oggi come siete riusciti a sostenere finanziariamente la startup?
Matteo: Il processo per arrivare sul mercato è complesso perché servono tempo e tanti soldi. Noi abbiamo scelto sin dall’inizio di trovare investitori privati in capitale di rischio per arrivare più velocemente sul mercato. Da una parte, siamo stati avvantaggiati dal fatto che il mondo del Venture Capital in Italia è molto sensibile verso il settore medicale; dall’altra però, non c’è in Italia un sistema di Venture Capital con una potenza di fuoco paragonabile a quella degli Stati Uniti e di altri Paesi europei; inoltre, noi siamo partiti da un prodotto il cui TRL (Livello di Maturità Tecnologica, ndr) era piuttosto basso: avevamo delle pubblicazioni scientifiche, test di laboratorio sui campioni artificiali, ma nessun prodotto, nessun dispositivo in mano, se non il chip stesso e una strumentazione di laboratorio ingombrante. Fortunatamente, nel periodo in cui abbiamo iniziato a cercare investitori, fondi privati hanno cominciato a stringere accordi con le università e a guardare con interesse alle startup deep tech che, rispetto ad altre iniziative imprenditoriali, hanno il vantaggio di essere più resilienti e di soffrire meno la concorrenza. Si sono aperti quindi scenari di investimento che abbiamo potuto intercettare.
Ad oggi abbiamo chiuso tre round di investimento e realizzato due aumenti di capitale. Stiamo preparando il terzo aumento di capitale che probabilmente avverrà tra la fine di quest’anno e l’inizio dell’anno prossimo.
Abbiamo un asso nella manica: la nostra tecnologia è applicabile anche a settori non medicali, ad esempio per il monitoraggio ambientale. Ciò ci consente di poter creare dei flussi di entrate in modo più rapido rispetto all’ingresso nel mercato medicale.
Il primo prodotto che rilasceremo nei primi mesi del 2025 sarà infatti un dispositivo general purpose. Successivamente affronteremo una nuova fase di ingegnerizzazione del prodotto e i trial clinici per la certificazione come dispositivo medicale, in modo da poter immettere il prodotto sul mercato per l’applicazione sui traumi cerebrali.

Dalla fondazione di INTA a oggi qual è stata la maggiore opportunità e la maggiore difficoltà che avete incontrato?
Matteo: Di opportunità ne abbiamo avute molte, ma quella che per me sta avendo un peso maggiore è l’avere avuto la possibilità di creare un ambiente di lavoro molto bello. Lo considero fra i risultati più soddisfacenti che abbiamo raggiunto dall’inizio dell’attività.

Alessandro: La maggiore difficoltà è stata proprio la ricerca e la selezione di personale non solo tecnicamente valido, ma anche dotato di un certo carisma e disponibile a lavorare in un ambiente rilassato, ma con obiettivi molto chiari e ambiziosi.

Quali sono le sfide che vedete di fronte a voi a breve termine?
Matteo: Una delle principali sfide è il continuo fundraising che sostiene la crescita aziendale e lo sviluppo del prodotto. Crescere così velocemente implica una continua rinascita dell’azienda a ogni nuovo round di investimento. Ci prepariamo a rinascere di nuovo con il prossimo aumento di capitale, spero in modo sempre meno impattante sui processi lavorativi e sulla tranquillità di chi lavora con noi.

Alessandro: A livello aziendale abbiamo una milestone molto importante a inizio 2025 rappresentata dall’utilizzo del prodotto sul campo per testarne i diversi aspetti, ottimizzare i parametri e risolvere le eventuali criticità. Per me si tratta di una sfida anche a livello personale, poiché significa vedere sulla scrivania e poi su una linea di produzione ciò che abbiamo pensato e progettato in questi anni.

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