Verso un cambio di paradigma nel trattamento dei tumori. Intervista a Soundsafe Care

In questa intervista parliamo con Andrea Mariani, CEO e cofondatore di Soundsafe Care, startup medtech che sviluppa un dispositivo medicale che combina la robotica e gli ultrasuoni per proporre un innovativo trattamento chirurgico non invasivo per la cura dei tumori.
Il dispositivo permette di usare gli ultrasuoni focalizzati per generare all’interno dell’organismo un effetto terapeutico localizzato. In altri termini, utilizza una forma di energia, il suono – che è intrinsecamente non invasiva e non nociva per l’organismo – al fine di distruggere masse tumorali agendo dall’esterno del corpo. Si differenzia quindi dagli standard terapeutici esistenti poiché, da un lato, non richiede incisioni come la chirurgia, dall’altro, non presenta aspetti di tossicità né effetti collaterali sull’organismo come invece succede per la chemioterapia o la radioterapia.

Andrea, la robotica che ruolo ha in tutto questo?
La robotica interviene per poter aumentare la sicurezza del trattamento, cioè per poter indirizzare con elevata precisione il fascio di ultrasuoni e quindi localizzarne l’effetto nel solo bersaglio terapeutico. Inoltre, il dispositivo agisce precisamente sul bersaglio da trattare anche nel caso in cui esso si muova per via del respiro del paziente. La robotica è fondamentale per poter compensare questi movimenti e svolgere questo tipo di procedura in modo preciso e sicuro senza danneggiare aree sane.

Com’è nata l’idea di sviluppare questo dispositivo?
L’idea affonda le sue radici all’interno di un ambiente di ricerca, quello dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e nasce ancor prima che io e Laura, (Laura Morchi, cofondatrice e CTO di Soundsafe Care, ndr) iniziassimo a lavorare sul progetto. Il primo progetto europeo basato sull’idea di combinare gli ultrasuoni con la robotica all’interno della Scuola Superiore Sant’Anna risale infatti al 2013. Nell’ambito di questo primo progetto si arriva a un prototipo validato soltanto in un contesto di laboratorio. Io e Laura iniziamo il nostro dottorato presso l’Istituto di Biorobotica della Scuola Sant’Anna nel 2018, quando iniziava un secondo progetto europeo che aveva come obiettivo rendere il dispositivo più compatto e usabile, nonché prevedeva la validazione del dispositivo in vivo tramite un protocollo preclinico approvato dal Ministero della Salute. Abbiamo quindi avviato una serie di attività, non più di sola ricerca pura, ma anche volte a portare il prototipo della tecnologia a un effettivo utilizzo clinico. In continuità con questo percorso, verso la fine del nostro dottorato siamo entrati in contatto con RoboIT, polo nazionale di trasferimento tecnologico della robotica, e abbiamo scelto di proseguire verso la commercializzazione del dispositivo dando vita alla nostra startup.

Cosa vi ha spinto a fondare Soundsafe Care?
Tra le diverse motivazioni che ci hanno spinto a proseguire su questa strada c’è la voglia di vedere effettivamente impiegata questa tecnologia sul paziente. Inoltre, si tratta di una tecnologia che potremmo definire “agnostica” in termini di applicazione, poiché può trattare diverse patologie oncologiche. Sarà quindi fondamentale capire per quale tipologia di tumore c’è maggiore necessità clinica di questo tipo di trattamento e al contempo ci sono maggiori opportunità per poter sostenere lo sviluppo e l’immissione sul mercato del dispositivo. Entrano quindi in gioco bisogni reali e logiche imprenditoriali che solo una realtà aziendale può sostenere.

In questo momento in che fase vi trovate dello sviluppo del prodotto?
Stiamo lavorando all’ingresso del dispositivo sul mercato veterinario. Come dicevo prima, il nostro dispositivo permette di trattare patologie oncologiche indipendentemente dalla tipologia specifica di tumore e dall’organismo vivente affetto. Può essere quindi un’innovativa soluzione terapeutica sia per gli animali da compagnia che per gli esseri umani.
Poiché le barriere regolatorie del mercato veterinario sono più snelle rispetto a quelle del mercato medicale, abbiamo deciso come strategia di dedicarci in un primo tempo alla validazione e alla traslazione tecnologica del dispositivo sul mercato veterinario. Questo è l’obiettivo che ci siamo posti l’anno scorso, quando è nata l’azienda, raccogliendo un finanziamento da parte di RoboIT che punta a sostenere la crescita dell’azienda sia in termini di persone che di tecnologie fino all’ingresso sul mercato veterinario che prevediamo nel 2025.
In questo momento ci stiamo dedicando quindi alla validazione e all’ottimizzazione della tecnologia per alcuni specifici tumori di cani e gatti, in collaborazione con centri veterinari a livello nazionale, e presto anche internazionale, che fungono da beta tester del dispositivo.

Qual è stata la maggiore opportunità e la maggiore difficoltà che avete incontrato finora?
Una delle maggiori opportunità è stata la possibilità di entrare in contatto con RoboIT e fare un anno di incubazione nel quale abbiamo avuto la possibilità di costruire contatti ed integrare le nostre competenze tecniche da ricercatori con competenze manageriali e imprenditoriali.
Durante l’incubazione, eravamo ancora all’interno del centro di ricerca, quindi continuavamo a lavorare per migliorare la tecnologia, ma avevamo anche una serie di lezioni su vari temi che difficilmente si affrontano nel percorso universitario, quali ad esempio: come fare una presentazione per raccogliere fondi? Come si imposta un piano di business per un prodotto innovativo? Come si crea un programma di beta tester?
Tra le difficoltà, invece, vi è la continua ricerca di investitori e finanziamenti per assicurare la sostenibilità finanziaria del processo che porta all’immissione del dispositivo sul mercato. Trattandosi di una tecnologia molto innovativa, questo va di pari passo con la necessità di proporre agli utilizzatori un cambio di paradigma nel loro modo di operare.
Ogni attività di validazione è molto complessa, presenta delle incognite e, a seconda delle scelte che si fanno a livello di protocollo da seguire, richiede tempi che possono essere anche molto lunghi. E poiché il tempo è veramente denaro, rappresenta il peggior nemico quando bisogna fare tante cose per validare una nuova tecnologia e arrivare sul mercato.

Quali sfide vedi di fronte a voi, nel breve periodo e più a lungo termine?
La principale sfida a breve termine è riuscire a svolgere in tempi contenuti protocolli di sperimentazione clinico-veterinaria, ottenendo anche in-vivo evidenza clinica della sicurezza ed efficacia del nostro dispositivo. Solo con questa evidenza, associata ad un lavoro di ottimizzazione ed industrializzazione della tecnologia, sarà poi possibile commercializzare il nostro dispositivo. Più a lungo termine invece, la sfida sarà quella di avviare trial clinici verso un utilizzo del dispositivo in medicina umana, con le problematiche regolatorie e il grosso fabbisogno finanziario che questo percorso comporta.

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